Pietro Greco
Martini, il gesuita che fece conoscere la Cina agli europei
L’Unità, 26 febbraio 2010.

            La Cina è il paese emergente che, più di ogni altro, sta modificando la “geografia della ricerca”. Venti anni fa quasi non compariva nella mappa della scienza che conta a livello globale. Ora la Cina investe quanto il Giappone in ricerca e sviluppo. Ha un numero di ricercatori paragonabile a quello degli Stati Uniti e dell’intera Europa. E gli articoli scientifici scritti da cinesi, cresciuti del 560% in questo decennio, sono ormai i più numerosi al mondo, dopo quelli dei colleghi americani.



            I motivi di questo sviluppo scientifico senza precedenti sono diversi. La scelta e la determinazione del governo, che ha inteso fare della Cina un paese leader nell’economia della conoscenza. La capacità di quella popolosa nazione di attrarre capitali e aziende straniere produttrici di beni ad alta tecnologia e, dunque, ad alta intensità di ricerca. La “voglia” dei giovani cinesi di affermarsi (anche) attraverso la carriera scientifica. Un’antica tradizione culturale che rende particolarmente fertile, oggi, il terreno dello sviluppo scientifico nel paese del Dragone.

            Sta di fatto che è anche grazie a queste scelte e a queste motivazioni delle scelte che la Cina è diventato il primo partner commerciale dell’Europa, oltre che il primo esportatore in assoluto del pianeta. Ed è presumibile che consoliderà, mantenendoli ancora a lungo, questi primati. Malgrado ciò, la Cina resta per gli occidentali un mondo pressoché sconosciuto. Per questo è sempre più necessario per noi, abitanti della parte più occidentale dell’Eurasia, trovare persone che facciano, in chiave moderna, ciò che fece Martino Martini, gesuita, nel XVII secolo: far conoscere la Cina all’Europa.

            Per questo è davvero molto utile, oltre che dilettevole, leggere il libro che Giuseppe O. Longo, docente di teoria dell’informazione all’università di Trieste e comunicatore a tutto tondo, ha dedicato alla figura di Martino Martini: Il gesuita che disegnò la Cina; Springer editore; anno 2010; pagg. 150; euro 18,00.

            Il libro non si limita, infatti, a narrare la vita avventurosa e ricca di imprese culturali di Martino Martini. Una vita iniziata nel 1614 a Trento e conclusasi, appunto, in Cina nel 1661. Ma ci offre una serie di suggestioni utili ancora oggi per chi è interessato a comprendere e, magari, a realizzare «l’unità nella diversità» nel mondo globalizzato. Proviamo a elencarne alcune.

            Nel suo nuovo libro Giuseppe O. Longo ci offre, in primo luogo, uno spaccato del Seicento, un secolo cruciale per la storia dell’umanità: perché è il secolo della scienza. Ovvero della cultura che fino a ieri ha regalato la possibilità di esercitare la leadership mondiale all’Europa (in regime di monopolio quasi assoluto per almeno tre secoli) e all’Occidente e che ora sta diventando realmente (e, aggiungiamo noi, finalmente) cultura globale, distribuita in tutto il pianeta. Era il Seicento un secolo con i piedi ancora nel passato: (basta seguire Martino Martini nei suoi due lunghissimi e pericolosissimi viaggi dall’Europa alla Cina, per rendersene conto), ma con la testa già nel futuro: basta studiare i motivi che spingono Martino Martini e altri 1.000 religiosi che in meno di ottant’anni li intraprendono e li portano a compimento, quei viaggi, per rendersene conto.

            Di recente il gesuita George Coyne, astronomo ed ex consigliere scientifico di Giovanni Paolo II, ha ricostruito sul giornale on-line Scienzainrete il ricco e complesso rapporto che i colti membri della Compagnia di Gesù hanno avuto con la scienza all’epoca di Galileo. Era gesuita il cardinale Roberto Bellarmino, che ha condannato a morte Giordano Bruno e ha avversato la concezione copernicana del mondo propugnata da Galileo. Ed erano gesuiti i membri (matematici e astronomi) del Collegio Romano che hanno confermato e celebrato le novità sideree annunciate nel 1610 da Galileo. Contraddizioni di un’epoca e di un ordine religioso. Ebbene i gesuiti, che in parti del mondo si sono guadagnati la nomea di infidi, hanno contribuito più di ogni altro a instaurare nel Seicento rapporti di conoscenza, tolleranza e rispetto tra l’Europa e la Cina. Era infatti gesuita Matteo Ricci (1552-1564) giunto, all’inizio del XVII secolo nel Catai che ha fatto conoscere l’Europa ai cinesi. Ed era gesuita, appunto, Martino Martini, che – prendendo il testimone ideale di Ricci – ha fatto conoscere la Cina agli europei. Attraverso, in primo luogo, il Novus Atlas Sinensis: un’opera scientifica di straordinario valore. Ma anche attraverso una serie di ricostruzioni storiche, che hanno narrato in presa diretta il passaggio dai Ming alla nuova dinastia dei Qing.

            Nel libro di Giuseppe O. Longo emerge come la scienza sia non solo un linguaggio universale che rende possibile il dialogo tra cinesi ed europei, ma anche il principale catalizzatore culturale dei rapporti pionieristici tra l’Europa e la Cina nel Seicento. È grazie alla superiorità del loro sapere astronomico (sia rispetto agli astronomi cinesi, sia rispetto agli astronomi islamici) e matematico che i gesuiti diventano interlocutori privilegiati in un paese che sapeva riconoscere il merito, nella selezione della sua classe dirigente. Proprio mentre in Europa, anche a causa di altri gesuiti, il libero sviluppo di quel sapere veniva fortemente ostacolato.

            Ma il tratto forse più interessante del libro di Giuseppe O. Longo sta nella lucida ricostruzione del ruolo che ha Martino Martini nel promuovere e nel riuscire a far affermare un principio, ancora oggi più che mai valido, nei rapporti tra culture diverse: il reciproco rispetto. È il gesuita trentino, infatti, che fa conoscere all’Europa e a Roma il valore del pensiero laico di Confucio, niente affatto in contrasto con i valori cristiani e persino cattolici. È lui che batte il fondamentalismo degli ordini mendicanti (domenicani e francescani) che vorrebbero esportare in Cina non solo la fede, ma anche le sue manifestazioni esteriori, i suoi riti, e in definitiva gli usi e i costumi europei. È lui che si vede riconosciuta la libertà di promuovere la propria fede in Cina, riconoscendo il valore della cultura dei suoi ospiti. Un esempio di intelligenza e di tolleranza, quello di Martino Martini (e dei cinesi che lo hanno accolto) che vale davvero la pena ricordare.