Michael Braun
Traffico politico
(Tageszeitung , Berlino)
Lo sanno tutti: la democrazia vive della competizione forte, talvolta aspra, tra le forze politiche. I toni duri, gli attacchi smodati, perfino le invettive contro l’avversario fanno parte del gioco. Ma affinché il gioco riesca ci vogliono anche le famose "regole condivise".
Un esempio esilarante di come può funzionare questa dialettica lo fornì anni fa la tv tedesca con delle riprese nascoste dei due candidati a sindaco di Amburgo. I due contendenti se le erano date di santa ragione in un dibattito televisivo. Ma appena rientrati in camerino per farsi struccare tornarono amici come prima, risero e scherzarono, addirittura si complimentarono a vicenda per i colpi bassi più riusciti.
Ora immaginate Berlusconi e Prodi dietro le quinte di uno studio televisivo in un dialogo tipo: "Bravo Romano come mi hai rinfacciato bene la salva-Previti", "No, bravo Silvio ad addossarmi il disastro economico". Un dialogo così è improbabile, per il semplice fatto che in Italia le regole sono un po’ meno condivise, e il rispetto per l’avversario come "parte integrante del gioco" è meno accentuato.
Questo fatto in sé non è preoccupante. A loro modo i politici italiani non sono altro che fedeli rappresentanti del loro popolo. Prendete il romano medio che guida la macchina. È sempre convinto che le regole valgano per gli altri, per quel cornuto che non gli ha dato la precedenza o che sta bloccando la strada perché parcheggia in terza fila.
Ma appena la rabbia sfuma il nostro automobilista accosta, in terza fila ovviamente, perché deve sbrigare una "faccenda urgente", come prendere un caffè al bar. E se gli arriva la multa non ci pensa neanche a pagare in silenzio e, forse, a vergognarsi un po’ per l’atto di inciviltà. No, s’inalbera e scrive una lettera di fuoco al suo giornale. Una lettera piena di lamentele contro quegli aguzzini dei vigili che applicano ciecamente una regola invece di "interpretarla" e graziare il povero automobilista che ha parcheggiato male, "ma solo per otto minuti".
In questo senso il recente scontro sulla legge elettorale somiglia molto alle polemiche del traffico romano. Ognuno rinfaccia all’altro le malefatte, queste sì, condivise e quindi accusa l’avversario di ipocrisia. Il centrosinistra non voleva forse cambiare unilateralmente la legge elettorale cinque anni fa? Il centrodestra non tuonava forse contro il presunto golpe elettorale? E giù citazioni per mettere la parte avversa in mutande. Il tutto è divertente.
Però c’è un lato preoccupante. Nessuno infatti penserebbe di nominare capo dei vigili urbani il guidatore più prepotente sulla piazza. E se le forze politiche si somigliano nello stile, non si somigliano nel grado di prepotenza. Prendete la Rai, da sempre sottomessa al governo in carica, ma con gradazioni diverse. Berlusconi fa cacciare Enzo Biagi dalla tv pubblica perché il giornalista ha osato invitare Roberto Benigni durante la campagna elettorale del 2001. E come risponde il centrosinistra? Molti suoi leader assicurano che in caso di vittoria non caccerebbero mai Bruno Vespa, autore della più smaccata messa in scena elettorale a favore di Berlusconi quando prestò studio, scrivania, penna e sorrisi per la firma del "contratto con gli italiani".
Se il "traffico impazzito" della politica italiana finora ha funzionato lo si deve soprattutto a qualche arbitro indipendente, a qualche potere di controllo, alla corte costituzionale e al presidente Ciampi, che hanno posto dei limiti alle infrazioni e alle corse contromano del centrodestra. Ora: come sarebbe l’Italia con un presidente della repubblica di nome Silvio Berlusconi?
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